Episodio a doppia lettura e non semplice da comprendere sino in fondo. Da un lato abbiamo un classico X files da indagare, una sorta di scarico, se vogliamo, delle tensioni e della drammaticità di quello che invece a mio avviso è il fulcro dell’episodio, cioè la morte della madre di Dana Scully con conseguente aggancio a quello che sembra ormai essere uno dei temi portanti di questa miniserie, il figlio William dato in adozione.
Il suo nome ricorre spesso in questo episodio, corre dalla bocca della morente madre di Dana, Margaret, e arriva fino a quelle di Fox Mulder. La cosa da un certo punto di vista quasi inedita è la gestione del dolore da parte di Dana che troviamo sì più matura ma anche molto più sensibile e fragile rispetto al passato. Tutto può essere legato alle tante situazioni vissute nelle quali Scully ha dovuto subire a livello psicologico e anche fisico delle autentiche violenze.
Dana è ora più forte ma allo stesso tempo non riesce a non vivere di rimpianti, di come sarebbe potuto essere se avesse fatto scelte diverse e più coraggiose, se avesse tenuto quel figlio per sé, fregandosene di tutto e tutti persino di Fox Mulder. Da qui la sua drammatica domanda se William è stato da lei trattato come fosse spazzatura, buttato lontano perché lei non ha avuto il coraggio di scegliere di essere madre.
Il caso da indagare sembra quasi avere la funzione di disturbante all’interno dell’episodio, ma in realtà non fa altro che calarci in una giornata tipo per la coppia di investigatori. La vita non si ferma così come il lavoro che se ne frega dei nostri drammi interiori o delle nostre sofferenze. D’altronde l’indagine alla fine ha comunque uno scopo catartico, qualcosa che serve a Dana come valvola di sfogo per quel dolore così grande e per i rimpianti di cui abbiamo accennato.
Il mostro che compie questi efferati e violenti omicidi mi ha ricordato, nell’aspetto, sia la Creatura del barone Frankenstein che un Golem, l’essere fatto di argilla che secondo le leggende i Rabbini più potenti erano in grado di riportare in vita iscrivendo sulla loro fronte la parole “Vita” e che potevano far dissolvere scrivendo “Morte”.
Fox Mulder in questa puntata fa un po’ da stampella alla vera protagonista, Dana, offrendole quel braccio forte, quel porto sicuro a cui tante volte si è aggrappata. Quel sognatore ossessionato che la conosce meglio di chiunque altro al mondo, l’unico in grado di capire la sua sofferenza di madre e di donna.
E lui accetta di stargli vicino, di comprendere le sue paure spiegandole come la scelta di farlo adottare, per quanto straziante, sia stata la cosa migliore che si potesse fare. Ora però credo che i tempi siano maturi per scoprire cosa è diventato William e i binari narrativi buttati giù da Carter e dagli altri showrunner stanno andando in quella direzione.
Ho trovato bello il loro dialogo, lontano dalle scartoffie da ufficio, in un ambiente aperto ma allo stesso tempo intimo. Loro due semplicemente, senza filtri, senza protezioni o difese. Due anime che parlano a cuore aperto senza paura, e la loro amicizia e complicità è qualcosa che rende sempre speciali questi due grandi personaggi.
Ammetto che dopo l’episodio 3, questo è stato come un pugno sullo stomaco dopo che hai riso: devastante. Il tempo delle verità sta arrivando e ci aspettano due puntate che sicuramente non lasceranno nulla di intentato per offrirci emozioni e colpi di scena. A volte si ha quasi l’impressione che si sia volutamente schematizzato lo svolgersi degli episodi per lasciare libero e pulito il filo conduttore di questa miniserie che non poteva avere l’ampio respiro e la complessità di una classica stagione da 22 episodi e che ha dovuto gioco-forza focalizzarsi su un aspetto ben definito e ancora da chiarire del passato dei due agenti FBI, cioè il figlio William.
Passo e chiudo.